Non e' ormai raro imbattersi in cantieri resi piu' gentili da interventi sui ponteggi o sulle palizzate con l'intento di attenuare un reale disagio estetico che, inevitabilmente un cantiere di restauro crea in coloro che, credendo di imbattersi sia per consuetudine sia per visita cercata, in un capolavoro dell'arte o dell'architettura, restano profondamente delusi da squallidi impalcati che ne ottundono la vista.
Vorrei affermare, con azzardo ma anche confortato da una certa dose ci sicurezza, che sia la prima volta, almeno per Firenze, che un artista affermato intervenga sulla paracinta di un cantiere di restauro. L’occasione e presto detta: il restauro dei due “Termini” di Palazzo Vecchio, gli eterni guardiani, subalterni, nel quadrilatero posto alla difesa della porta del Palazzo, alla formidabile diade David-Ercole, ma pur sempre altissimi esempi di scultura fiorentina della meta’ del XVI secolo. I due Termini, creati per reggere la catena che veniva tesa di fronte alla porta de Palazzo Ducale, sono attribuiti dalle fonti a Baccio Bandi­nelli e Vincenzo de Rossi. La coppia maschio-femmina, assai poco studiata e spesso liquidata tradizionalmente come Filemone e Bauci, e’ a mio parere, da iden­tificarsi con la coppia divina “Ter­minus” e “Iuventas” sacri guar­diani, secondo una tradizione ben conosciuta nel Cinquecento, del Colle Capitolino. L’operazione nasce all’interno dell’ufficio Belle Arti del Comune di Firenze da un sodalizio che, oltre ad una natura­le e reciproca simpatia, si cimen­ta quotidianamente nel lavoro fianco a fianco. Ricordo che sot­toposi l’idea di poter riprodurre i due Termini a Salvatore Monaco e non dimentichero’ facilmente l’en­tusiastica accoglienza di Salvato­re e la sua totale immersione nel­la creazione delle due immagini. Il risultato finale va molto al di là delle aspettative. Salvatore Monaco e riuscito a ben reinterpretare i due Termini di Palazzo, grazie all’incisiva resa plastica delle sue figure e alla naturale inclinazione mediterranea, da sempre fondata sulla mitologia classica, del suo operare. L’esperienza di questo cantiere e preziosa: finalmente piazza della Signoria, frequente­mente invasa dai cantieri di re­stauro (e lo potrebbe essere sempre di più, anche se per tempi in­finitamente più brevi, se finalmen­te si recepisse la fondamentale importanza della manutenzione ordinaria ai nostri monumenti) non è deturpata dai soliti tubi, pal­concelli e reti di protezione ma impreziosita da un’altra opera d’arte. Da qui la proposta: perché non perseguire per il Centro Sto­rico, là dove ovviamente ciò sia possibile, una tale politica di in­tervento dove l’arte contempora­nea avrebbe occasione, anche se per la breve durata di un restauro, di far conoscere la propria capa­cità di inserimento nel contesto di una città d’arte come Firenze? La domanda si fa tristemente pre­monitrice di una realtà che sem­bra ineluttabile: lentamente i ca­polavori che ornano e fanno uni­ca al mondo Firenze stanno abbandonando strade e piazze. Il cantiere di restauro, velato da un’opera d’arte contemporanea, potrebbe far intravedere, anche nella sua natura effimera, una soluzione alternativa alla mera e scontata sostituzione degli origi­nali con delle copie.
                  Carlo Francini
Firenze, gennaio 1997

 

 


Salvatore Monaco

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